martedì 2 maggio 2017

Time is by my side

Il ventesimo chilometro si avvicina. Corriamo ancora, fisicamente, side by side, tra poco le nostre strade si divideranno. Incredibile quanto la corsa a volte ricalchi la vita. Sono stanco ma non come le altre volte, sono stanco ma contento perché sento che la strada fatta fino qui da inizio anno sta dando i suoi frutti.

E' sabato mattina, ho il volo per Vienna alle 10, me la prendo comoda, faccio sempre così ma poi regolarmente arrivo in ritardo ed anche questa volta è così. Tutta colpa della mia sindrome da viaggio che dovrà pure avere una sua dignità nel campo dello studio psicologico ma che io per ora non so come altro chiamare. Consiste nel non riuscire a partire in tempo perché ti sembra sempre di aver dimenticato qualcosa ed alla fine ti carichi di tremila cose ma questo comunque non ti impedisce di dimenticare qualcosa di importante. Questa volta ho dimenticato la tuta bianca da imbianchino che doveva servirmi nell'attesta dello start per non prendere freddo.

Il ventesimo chilometro è uno stradone che attraversa il centro di Vienna, un'area pedonale che passa di fronte a negozi e bar con i loro tavolini all'aperto. Siamo un fiume di gente colorata ed io ancora sto cercando di sorpassare quelli lenti. Che ci sia ancora gente lenta al ventesimo chilometro mi fa capire che, o ci sono stati troppi furbi che sono partiti nelle griglie dei bravi invece che in quella adeguata al loro tempo o che io sono stato troppo onesto e, dichiarando un tempo di quattro ore e mezza (non senza sensi di colpa perché le ultime due maratone le ho chiuse in oltre cinque ore) sono partito troppo indietro rispetto alle mie attuali possibilità. Probabilmente sono vere entrambe le cose.
Fatto sta che sono qui a capire dove passare per non rimanere imbottigliato, scarto a destra e sinistra, salto sul marciapiede e scendo, spingo quello che mi sta avanti e mi incuneo tra i due a destra, non è facile, sarebbe più bello avere tutto libero di fronte e poter mantenere il mio passo.

In autostrada piazzo il cruise control a 150 e lascio che la R4 new version faccia il suo lavoro. Penso che il resto del gruppo sta arrivando a Vienna in treno mentre altri sono già lì. Penso alla fortuna che ho avuto di conoscere persone fantastiche con le quali condividere questa passione e questo tratto di strada. Ci sono persone che ti fanno sentire solo anche quando ti siedono accanto ed altre che senti presenti anche se sono a chilometri di distanza. E' bello accorgersi di questo mentre da una parte stai andando ad azzerare questa distanza lasciandotene altra alle spalle, questa volta vera, chilometrica e temporale.

Il ventesimo chilometro è passato e non vedo il bivio dove il percorso della maratona si dividerà da quello della mezza. Mi viene il dubbio che possa essermelo perso, mi affianco ad una signora piccolina con la maglia di Terramia, è italiana e le chiedo se sa dove sia la divisione del percorso. mi risponde scocciata, allungo la falcata e la lascio indietro senza pietà. Dopo pochi metri ecco che i percorsi si dividono. La tentazione di prendere la scorciatoia, di accontentarsi dei 21 km e lasciare la strada dei 42 arriva come sempre. Ed è così anche nella vita in fondo no? Ci sono bivi nei quali puoi sempre scegliere una strada più facile, meno faticosa, che ti fa arrivare prima al traguardo. Questa volta però sorrido e prendo deciso a sinistra per i restanti 22 Km. Non ho paura, non sono stanco, ho nelle gambe e nella testa l'allenamento e le forze per arrivare al traguardo, ovunque esso sia.

A pochi chilometri dall'aeroporto faccio due calcoli, se vado a lasciare l'auto al parcheggio che ho prenotato e poi arrivo in aeroporto con la navetta rischio di arrivare in ritardo al check in e non poter imbarcare la valigia. Decido quindi di passare prima in aeroporto, fare il check in lasciando la valigia e poi portare la macchina al parcheggio. Mi piace il decision making, anche nelle piccole cose di tutti i giorni. Mi piace quando va applicato sul lavoro, è il sale del mio lavoro, DODAR, Diagnosis, Options, Decision, Analise, Revision e di nuovo da capo, diagnosis e così via. Mi piace. E' quello che ho appena fatto, analizzo la mia decisione, la rivaluto, è giusta, imbocco la strada dell'aeroporto invece che quella del parcheggio.

Adesso, imboccata la strada della maratona e lasciati a destra i corridori della mezza, so che arriverà la crisi, è sempre arrivata. Passi baldanzoso la mezza maratona ma c'è il muro ad aspettarti. Il mio è sempre arrivato intorno al venticinquesimo chilometro. Siamo al venticinquesimo ed ancora nulla, il ritmo è sempre lo stesso, la veocità poco più bassa di quella della partenza, la cadenza stabile intorno ai 180 passi al minuto, l'ideale. Le scarpe nuove vanno bene, avevo paura ma invece sono bastati un centinaio di chilometri ed un aggiustamento alla soletta per sentirle mie. Nessuna muro in vista ma arriverà, ne sono certo, basta farsi trovare preparati, intanto vado, a destra e sinistra sfilano i palazzi dell'impero per lasciare spazio al Prater con i suoi viali alberati. A tratti una ventata fredda, mi butto in avanti e proseguo. Passa il cartello del ventottesimo chilometro, è la seconda volta che ci passiamo e ricordo che la prima volta, eravamo al quinto chilometro, mi sono chiesto come sarei stato quando lo avrei rivisto. Lo rivedo adesso e sto bene, sto bene.

Parcheggio nello spazio sosta breve, scendo di corsa, apro il baule e prendo la valigia, mi cadono gli occhiali, li raccolgo, corro verso il terminal, sorpasso il muro di fumo all'ingresso (ma ste cicche non potete fumarle a cento metri di distanza?) cerco il banco del check in, poggio la valigia sul nastro trasportatore, scambio due parole con l'operatore che vedendo la crew member card mi chiede chi sono e cosa faccio, raggiungo la macchina di corsa, imbocco il vialone che esce dall'aeroporto, sorpasso una macchina lenta accelerando e questa inizia a suonarmi, la mando al diavolo ma questa insiste e mi lampeggia, guardo nello specchietto e...nell'ordine...vedo seminati lungo la strada i seguenti miei materiali usciti dal baule aperto: Il Sax nella sua custodia, poco dietro il bagaglio a mano seguito a poca distanza dalla seggiolina da campeggio. Mi fermo in mezzo alla strada, raccolgo tutto e riparto.

Passo il cartello del 28° Km. In questo tratto il percorso è doppio, a sinistra quelli che vanno ed a destra quelli che tornano, che hanno fatto il giro della rotatoria giù in fondo e sono avanti di circa quattro, cinque chilometri. Ci incrociamo e guardo quelli dall'altra parte con invidia, la cosa mi demoralizza un pochino e la sento nelle gambe. Mi viene in aiuto una piccola giapponese, una signora in canottiera viola, piccolina con una lunga treccia che le ondeggia sulle natiche. La seguo e l'affianco. Corriamo insieme per qualche chilometro, a tratti la sorpasso e lei mi segue ed a tratti va avanti lei e sono io che la seguo, il passo è comunque leggermente più veloce di quello che terrei se fossi da solo e va bene così. Vedo dall'altra parte della strada , al 33° Km un ristoro con la Coca Cola, mi riprometto di fermarmici quando lo raggiungerò per cui non mi fermo a quello che ho adesso sul mio lato di strada.

Raccattata tutta la roba caduta per strada riparto per il parcheggio, lascio la macchina, salgo sulla navetta e raggiungo di nuovo l'aeroporto. C'è la solita lunga coda per il controllo bagagli e non ho voglia di farla per cui passo nella fast lane grazie alla crew member card ed in breve passo i controlli e sono finalmente pronto per l'imbarco. Austrian Airline, è la mia prima volta con loro. Aereo pulito e spazioso, servizio impeccabile. Arrivo a Vienna in perfetto orario, ritiro il bagaglio e faccio un biglietto per i trasporti pubblici valido due giorni compreso andata e ritorno per l'aeroporto,

Il vialone del prater è terminato. C'è una curva a 180 gradi e si torna indietro. Io e la giapponese corriamo sempre assieme e la cosa sembra far piacere anche a lei perché quando sono dietro ogni tanto si volta a guardare se ci sono. Continuiamo così che andiamo bene, stiamo andando bene. Arrivo al ristoro con la Coca Cola , km 33, bevo un bicchiere e riparto, questa volta dall'altra parte della strada quelli che ancora devono fare la rotatoria, mancano nove chilometri, Solo SOLO nove chilometri alla fine e sto bene. Si, sono stanco, inizio a sentire qualche dolore ma caspita ho una media per la quale avrei fatto firma e comunque mancano solo nove chilometri, dai.
Da qui inizio il conto alla rovescia, 9 , 8, 7, 6.....ecco, sono cotto, non ce la faccio più. La Giapponese è andata avanti quando mi sono fermato al ristoro, non riesco a trovare altri corridori con i quali andare avanti, sono solo, solo in mezzo a tanta gente che corre. Trovare un compagno di corsa è una cosa curiosa. Siamo in tanti in fondo a correre alla stessa andatura ma forse è proprio questo il problema, serve qualcuno che vada appena un pochino più forte, qualcuno che a tratti ti tiri e che a tratti aiuterai ad andare avanti, anche qui, come nella vita.  Cinque chilometri alla fine, praticamente il giro di Visome, una cosa che faccio in allenamento quando non ho tempo o voglia, giusto per uscire a correre, il pensiero aiuta mentalmente ma le gambe e le caviglie dicono basta.

Salgo sulla metro e vado verso il centro. Tra i passeggeri cerco altri corridori e li individuo tutti, è un gioco, li riconosci dalle scarpe, dalle borse, dall'abbigliamento. Siamo in tanti, non ho idea di quanti saremo di preciso ma da quello che vedo in questo spazio dobbiamo essere proprio in tanti. Arrivo in centro a Vienna e chiamo gli amici che sono già arrivati, Riz mi dice che sono al McDonald attaccato alla cattedrale, inizio quindi a girare intorno alla cattedrale in cerca del McDonald ma al secondo giro capisco che c'è qualcosa che non va. Per fortuna mi viene incontro Bea e mi salva. Il McDonald non è attaccato alla cattedrale. Sono finalmente con i miei amici, mi sento a casa.


L'emozione che dà una maratona è una sensazione che non si può descrivere. Ho un nodo in gola, ho capito che non solo arriverò al traguardo ma che per la prima volta ci arriverò senza aver camminato un solo metro. Ho corso e basta e corso bene. Arriverò sicuramente sotto le 4 ore anche se adesso la media è aumentata drasticamente, sto correndo a 4 chilometri dalla fine a 6 minuti e mezzo a chilometro, sono lento ma poi ragiono sul fatto che 6,30 dopo 39 km non è lento...è ottimo, almeno per me. Ho questo nodo alla gola, voglia di piangere, di lasciarsi andare in singhiozzi di felicità quando capisco che sono sul rettilineo finale. In fondo c'è l'arrivo, ai lati della strada la gente che incita ed io che piango, piango e rido. Due metri prima del traguardo piango di gusto, superata la linea di arrivo rido come uno scemo e vado a prendermi la medaglia che ha comunque lo stesso gusto delle altre perché nella maratona il tempo di arrivo è solo un dettaglio. La medaglia va alla testa che ti ha portato fino a quel punto e non conta in quanto. Il tempo dipende solo da quanto ti sei allenato e dalle crisi che hai saputo superare ma l'arrivo, in generale, è solo una questione di testa. Individuare una meta, scegliere con chi arrivarci od essere scelto, fare dei tratti in due, tratti in compagnia di altri, molti da solo, andare avanti secondo il proprio passo, se si esagera si è fottuti, se si va al di sotto delle proprie possibilità si avranno rimpianti. La maratona è la vita, metro più, metro meno.
 

mercoledì 22 marzo 2017

Looking for some border

Esisterà una frontiera raggiunta la quale saremo respinti non da forze doganali ma dal nostro corpo? Un luogo del nostro spirito o del nostro corpo oltre il quale scopriamo di non poter andare, un muro invalicabile. Deve esistere, esisterà per forza.
Quando ho iniziato a correre erano i 5 Km, ricordo che mi accontentavo di quattro. Alla fine del quarto chilometro mi sentivo stanco morto e sudato tornavo alla macchina per andare a casa. Il percorso era sempre lo stesso, in aeroporto a Belluno, un lungo prato pianeggiante del quale evitavo la variante per San Pietro in Campo perché la variante prevedeva una salitella. Quella salita era non più lunga di cinque passi, non la misuro in metri per pudore ma era  ed è ancora veramente una specie di lungo gradino che io in quel periodo consideravo come una lunga salita. Passato il "muro" dei quattro chilometri quello era diventato il mio muro.
Muro dopo muro sono arrivato a superare i dieci chilometri, poi la mezza maratona, poi una gara di 25 km, la Marcialonga ed infine sono arrivato alla Maratona, chi l'ha fatta non può non scriverla con la maiuscola. Era la ricerca di quel limite, una ricerca inconscia ma il percorso è quello; raggiungi un punto, ti guardi indietro e prosegui verso il successivo, raggiunto il quale riparti per il prossimo. Quattro, cinque, dieci, ventuno, venticinque ed infine quarantaduevirgolacentonovantacinque con quei 195, spesso omessi quando qualcuno che non ha fatto la Maratona parla della Maratona e che invece chi l'ha fatta cita sempre, ed io so benissimo perché. Lungo una Maratona i limiti da superare sono molti. Può essere una corsa devastante, spesso è monotona, ripetitiva, ti sorpassa gente che davi per spacciata ancora al primo chilometro, i tuoi tempi non sono compatibili con la pazienza della gente che aspetta che la strada riapra al traffico per cui c'è anche chi, invece di incitarti, ti ricorda la tua disgraziata idea di imbarcarti in un'impresa che è lontana dalla forma fisica richiesta per completarla e che quindi faresti bene a ritirarti perché altrimenti morirai di infarto prima di quanto pensi, poi c'è il 21° chilometro dove passi baldanzoso seguito subito dopo dal 26° dove ti vorresti ritirare perché sei veramente convinto che quello che ti ha gridato "ritirati" abbia in fondo ragione. Ed invece continui, un po' rallenti, un po' cammini, poi corri di nuovo ma vai avanti e quando capisci che il traguardo lo passerai inizi a piangere, eh si, non c'è nulla da fare, quando capisci che ce l'hai fatta piangi.
Quindi 42,195 metri si possono correre, il mio corpo ce la fa e dove non arriva il corpo subentra la mente. All'arrivo, come al solito ti guardi indietro e c'è la strada che hai fatto e poi ti guardi avanti per scoprire dove poter ancora andare. Beh, nell'immediato, cioè subito dopo la prima maratona, avanti c'è il parcheggio dove hai lasciato la macchina e assicuro che anche quello può diventare un traguardo difficilissimo da raggiungere. Però quando poi ci si riprende, oltre il parcheggio si guarda se c'è qualcosa e qualcosa c'è, per forza ci deve essere. Nel mio caso 51 km, per di più un trail, quindi 2000 metri di dislivello e terreno non facile, ne ho parlato nel precedente post.
Ed anche la gara da 51 km ha un suo traguardo, un suo parcheggio dove risalire in auto ed una curva dove fermarsi un attimo prima di arrivare a casa per capire dove poter andare....oltre.
L'oltre è arrivato questo week end. La gara si chiama ULTRABERICUS, è lunga 66 Km e sale per 2500 metri...duemilacinquecento. Mi sono iscritto forse inconsciamente proprio alla ricerca di quel limite.  C'era anche il percorso da 21 km ma quel limite lo conoscevo, quello oltre i 50 invece no ed andava provato. Parto da Belluno con la mia macchina seguendo quella degli amici, alcuni invece sono a Vicenza già dalla sera prima. A Vicenza parcheggiamo e ci dirigiamo nella piazza centrale dalla quale si parte e qui inizia il mio viaggio da solo nel senso che per andare a depositare la borsa perdo gli amici e non li ritrovo più ma va bene così, è una cosa che devo fare da solo. Entro nel recinto di partenza, come al solito gente di tutti i tipi. Quanti ce la faranno? Quanti si ritireranno? Saranno in molti quelli che molleranno, lo scoprirò il giorno dopo guardando le classifiche.
Partiamo attraversando il centro. La tentazione è sempre la stessa quella di partire veloce ma mi ricordo subito quel numero, sessantasei e rallento. Del resto c'è gente che già al secondo chilometro, alla prima salitella cammina e siccome è molto probabile siano più esperti di me, evidentemente rallentare fin da subito è la cosa giusta da fare per sperare di completare il percorso che è bellissimo e nei primi dieci chilometri da quasi l'illusione che sia tutto corribile, veloce, facile. Non è così, lo scopro in corrispondenza della prima vera salita dove si è formata una lunga fila per arrampicarsi lungo un sentiero stretto e decisamente in piedi. Siamo in tanti, in molti parlano,fanno battute, scherzano, le voci sono allegre, fiduciose, penso che forse non è così terribile vista la tranquillità e la quasi spavalderia di molti ma non è così. Le colline si susseguono ed anche le salite e le discese, il ritmo è incessante, i tratti pianeggianti pochissimi e benché le salite non siano lunghissime, sono tantissime, una dietro l'altra. Al primo ristoro c'è clima di festa. ci incrociamo con quelli della 21 ed arriva il primo pensiero di quasi rinuncia. In pensiero sottile, impalpabile che si insinua nel cervello e rimane lì per quasi tutti i 66 km. Penso che potrei continuare sul percorso della 21 e finirla lì, ho provato, sono contento, rivedrò i miei amici, anzi, li aspetterò al traguardo e la giornata sarà stata ugualmente bella. Ma mi sento bene, non sono stanco e quel pensiero non ha alcun senso in quel punto per cui mangio un pezzo di crostata, bevo del tè caldo, butto giù qualche noce e riparto. Siamo al km 12, solo al km 12.
Il ristoro del km 25 non lo ricordo. Ricordo solo che ho iniziato a fare i conti con il sole per capire se stavamo ancora andando verso sud oppure avevamo già svoltato epr tornare verso Vicenza. Cercavo di capire dalla posizione del sole dove stavamo andando ma il percorso tortuoso ed il fatto che non mi fossi portato una stampa del percorso mi creava solo confusione. Per i prossimi trail ricordarsi di portare al seguito la traccia del percorso con l'altimetria, potrebbe aiutare, almeno spero.
Il ristoro del Km 36 invece lo ricordo bene perché è quello nel quale il desiderio di rinunciare si è fatto più forte. Era il punto nel quale chi faceva la staffetta si fermava e passava il testimone al secondo frazionista. C'erano i pullman per tornare a Vicenza. Bastava semplicemente entrarci, sedersi, bere qualcosa ed essere soddisfatti per i 36 km fatti che comunque non sarebbero stati pochi. Il posto tra l'altro era bellissimo, un santuario ai piedi di una serie di grotte con graffiti che indicavano come fossero stati luoghi di culto in tempi remoti. Non so se sia stata la voglia di visitare meglio quelle grotte dato che la continuazione del percorso era proprio ai piedi di quelle grotte o la volontà di non mollare fatto sta che sono ripartito quasi subito. Ancora salite, discese, colline su colline in un susseguirsi devastante ma comunque percorribile senza particolari problemi. Al km 45 in corrispondenza del penultimo ristoro mi sono preso tutto il tempo possibile. Ho bevuto due belle tazze di tè caldo, ho mangiato in abbondanza, ho riempito le borracce e mi sono sono fermato a guardare la gente che arrivava. Bella atmosfera, tante coppie che correvano assieme i 66 km, una bella cosa, anche coppie di amici dello stesso club. Quando mi sono sentito pronto sono ripartito, avevo freddo e sono ripartito indossando la maglia a maniche lunghe che avevo levato in mattinata. L'errore è stato che quando l'ho levata, sudata, l'ho messa nello zaino senza lasciarla fuori ad asciugare e quindi era ancora umida, non una bella sensazione. Per le prossime gare, ricordarsi di metterla nello zaino in maniera che possa asciugarsi oppure portarne un'altra.
Intanto il sole è calato, è arrivato il freddo ma anche un percorso meno difficile con salite più corte e tratti pianeggianti più lunghi, ho tirato fuori la frontale ed ho sentito per la prima volta la netta sensazione che ce l'avrei fatta. All'ultimo ristoro...l'ultimo, una consolazione anche perché in centro ad un paese invece che allestito in collina dando così la sensazione che si fosse in qualche modo tornati alla civiltà, all'ultimo ristoro dicevo, cerco di scaldarmi con le bevande e riparto per l'ultimo tratto. Solo tre salite mi separano da Vicenza e sono le salite meno lunghe, mi sembra quasi di visualizzarle. Intento ho fatto amicizia con un altro concorrente con il quale parlo lungo il percorso. Lui ha fatto l'Ultrabericus altre volte e quindi conosce bene il percorso, me lo descrive mentre corriamo o camminiamo. A volte preferirei non lo facesse quando dalla descrizione capisco che si, il più è fatto, ma non siamo ancora arrivati, altre lo ringrazio, quando mi dice che mancano solo due salite o una salita. Continuiamo assieme fino all'ultima discesa dove lo lascio perché non vedo l'ora di arrivare, perché sento odore di traguardo e perché lui in una discesa particolarmente dura mi dice di andare ché lui ha problemi ad un ginocchio e deve comunque fermarsi "al bagno".
Vado, in lontananza nel cielo coperto si riflette il bagliore della città. Prendo il cellulare e mando un messaggio al gruppo Whatsapp degli amici dicendo loro che sono a 5 km dal traguardo, che mi aspettino con abbondante birra per far festa. Mi rispondono che mi stanno tutti aspettando e quindi corro. Sorpasso addirittura dei concorrenti che mi fanno i complimenti per riuscire ancora a correre, dicolo loro che è solo inerzia ma intanto il mio ego va alle stelle. continuo a messaggiare, anche a mandare foto e loro mi rispondono che sono pronti a far festa. Sorpasso l'ultimo concorrente che mi separa dal traguardo, i volontari mi indicano la piazza che si nasconde appena dietro l'angolo del palazzo, vedo il percorso che porta al traguardo, allargo le braccia, rido ed inizio a gridare ECCOLO, ECCOLO. Cerco gli amici ma non c'è nessuno. C'era stato un fraintendimento, mi aspettavano si, ma virtualmente.....maledetta tecnologia.  Fa nulla, do il cinque a quelli che stanno comunque facendo il tifo anche per me dietro le transenne, bravissimi, incitavano tutti e do il cinque virtualmente anche ai miei amici, taglio il traguardo e penso che si.....ho corso per 66 km e 11 ore.
Mi fermo dopo il traguardo nella zona arrivi. Ho in mano la maglietta che mi hanno dato quando ho passato il traguardo, c'è scritto FINISHER. Guardo gli ultimi cento metri che ho corso e poi guardo dall'altra parte dove un percorso ideale in qualche modo continua ma non so per quanto. So solo che fino al chilometro 66 il percorso c'è ed è stato percorso. Quello che c'è oltre lo scoprirò.  In fondo è proprio come la vita, no?

venerdì 24 febbraio 2017

Gare

E' passato più di un mese dall'ultimo post. Siamo passati dal freddo invernale ad un accenno di primavera, solo un accenno. Il patascione, termine che ho scoperto vi dirò poi come, lo misura non come lo misura il contadino. Non va a legare la vigna, non controlla le gemme sui meli e nemmeno vede l'erba diventare verde. Il patascione si accorge che qualcosa nell'aria è cambiato quando dopo i primi 800 metri di corsa capisce che si è vestito troppo, come se fosse inverno pieno. Il patascione soffre anche quando potrebbe farne a meno ma siccome di tornare a casa a levarsi qualche strato non se ne parla, il patascione continua imperterrito verso la meta.
Patascione: termine che indica l'improbabile runner non fisicamente dotato che corre a velocità che si avvicinano più al nordic walking che alla corsa vera e propria. Il termine l'ho imparato in questo mese di gare... si, avete letto bene, gare, e che gare. Ho iniziato a gennaio con la Winter Night Run.
Una corsa notturna sulla neve lungo la pista di fondo, in estate bellissima ciclabile, che collega Cortina a Dobbiaco. Quindi è notte e c'è la neve. Si parte dal lago di Landro da dove si vedono le Tre Cime di Lavaredo. Fa freddo ma nemmeno così tanto come dovrebbe, solo qualche grado sotto zero, lo scorso anno il termometro segnava meno diciotto. C'è odore di canfora sotto il tendone dove ci servono tè caldo in attesa dello start. Bel clima, divertente, non così agonistico ma insomma è sempre una gara per cui dopo il tè si va fuori a riscaldarsi ed a saggiare la neve. Correre sulla neve è un'eperienza nuova, completamente. So come ci si cammina, so come ci si scia ma correre non l'ho mai fatto. Finito il riscaldamento-prova ci mettiamo nel gruppo dietro lo start, i minuti corrono veloci, accendiamo la frontale e partiamo, il percorso è tutto in discesa e sono solo 10 km, bisogna spingere, dare il massimo e spingo, sorpasso gente, non è facile perché se si corre ai bordi del tracciato la neve è dura e si corre bene mentre se si corre al centro, tra le tracce della pista di fondo, dove hanno già corso tutti quelli che mi hanno preceduto si affonda quel tanto che basta per far aumentare a dismisura la fatica. I chilometri passano veloci, la notte diventa buia, il traguardo si avvicina. Arrivano le luci di Dobbiaco e dello stadio dove un ultima ripidissima e breve salita ci separa dal traguardo.
La gara è finita, divertente, veloce, sono proprio contento. Tagliato il traguardo una bella bevanda calda ed un krapfen alla marmellata. Peccato solo per l'attesa al gelo per ritirare la sacca con gli indumenti per cambiarsi. Un solo camion, un solo uomo a distribuire le sacche, è caos. Si rischia quasi il linciaggio e l'attesa, sudati ed al gelo, dura per oltre mezz'ora, comunque è fatta, sono con la bellissima compagnia degli amici di #Corrinsieme e questo è quello che conta.

La seconda gara invece è seria, terribilmente seria perché è la stessa di quando ho iniziato, la mia prima gara, la mezza maratona di Verona, la Giulietta e Romeo Half Marathon. La grande differenza è che la prima volta ero partito da casa da solo, avevo corso da solo, avevo tagliato il traguardo da solo, mi ero messo la medaglia ed autofesteggiato da solo; adesso c'è la fantastica compagnia del mio club, talmente nuovo che corriamo ancora con maglie provvisorie.
Il Run & Fun Oltre Team comunque c'è, siamo tanti e visibilissimi. La mezza di Verona è una gara tutta cittadina, fatta di marciapiedi, sampietrini, ciottolato vario, tombini, curve secche. La prendo come va presa, seriamente appunto. Spingo fin dal primo chilometro, ho solo un cedimento a tre chilometri dalla fine per un dolore alla caviglia destra ma il tempo finale è per me ottimo. 1h47'. 12 minuti in meno di quando l'avevo fatta la prima volta. Sono strafelice.





E' questa felicità che mi rende incosciente e mi fa prima iscrivere e poi affrontare l'ultima delle tre gare di questo periodo, una ultra trail. Cinquantuno chilometri con duemila metri di dislivello. Solo a pensarci mi sembra assurdo eppure parto, con calma. Parto con le mie scarpe da trail nuove, con lo zainetto ipertecnologico dal prezzo allucinante per quello che in effetti è e con i bastoncini alla moda. Nello zaino tutta una serie di integratori che non ho assolutamente idea di come usare. Parto piano, del resto la salita arriva subito ed io in salita non vado....cioè non andavo perché invece vedo che riesco anche a correre, quasi correre ma insomma vado anche in salita. Al diciottesimo chilometro improvviso arriva il dolore assurdo alla caviglia destra, sembra che mi si smonti, come se il piede si staccasse dal resto della gamba, come se non si sia più alcun collegamento. A questo segue immediatamente un dolore al tendine d'Achille della gamba sinistra. Penso di fermarmi e ritirarmi, non riesco nemmeno a camminare. Mi fermo in cima ad una collina proprio all'inizio di una bella e tranquilla discesa. Ragiono e ripenso agli articoli letti, al fatto che nel trail bisogna pensare ad arrivare, dosare le forze ed affrontare gli acciacchi. Va bene, affrontiamolo. Il dolore al tendine non è al tendine ma è al polpaccio, forse un inizio di crampi. Il dolore alla caviglia destra invece probabilmente è stato causato ad un appoggio sbagliato nell'ultima discesa. Prendo un integratore, un sorso d'acqua e provo a ripartire piano, cerco l'appoggio migliore per non sentire male. Lo trovo.

Riesco quasi subito a correre di nuovo, recupero tutta la fiducia e sono di nuovo in gara...da solo perché penso di essere tra gli ultimi per cui siamo a tratti così sgranati che la corsa diventa solitaria ma anche così è bella tra colline e boschi. Supero la distanza della mezza maratona. Mi si stampa in faccia un sorriso idiota, sono solo a metà gara ma mi sembra già di avercela fatta. Ad un certo punto incontro una curva secca a sinistra e su di un sasso, in rosso, leggo la scritta "202 gradini"...duecentoduegradini. Arrivo in cima a quella gradinata fatta di traversine ferroviarie, con gradini alti il doppio di una normale scalinata e continuo. Ormai è fatta. Passo la distanza della maratona. Inizia la lunga discesa che porta al traguardo. Lo taglio dopo sette ore e quarantaquattro minuti. Ce l'ho fatta, non può più fermarmi nulla.

In tutto questo, in questo mese, c'è stata poi la gara più difficile, quella con Ezio a chi fa più chilometri e lì ho sempre tragicamente perso, per poco ma ho perso perché quel ragazzo ha una costanza che fa paura. Ah ma io non mi arrendo :-)






giovedì 12 gennaio 2017

Anche il Trailblanc porta a NYC Marathon..

Non ne potevo più di sentire  fratello Alessandro "banfare" con le sue imprese eroiche sui trail che a dire il vero non sapevo neanche cosa fossero.  
Dopo essermi informato online e non volendo essere da meno decido che devo trovare anche io un'alternativa alla monotonia del correre km e km sull'asfalto. 

Inizialmente penso di copiare bovinamente e buttarmi giù per qualche sentiero della Saint Victoire qui in Provenza dove sto per terminare le mie lunghe vacanze natalizie con il mio piccolo Supereroe, poi prevale il mio spirito competitivo ... devo trovare qualche cosa ancora piu' scioccante. 
Interrogo Zio Google e dopo vari tentativi atterro su una foto di 3 pazzi che trotterellano su una pista innevata. Clicco e riclicco e scopro il Trailblanc. 
Cos'e' il Trailblanc? La stessa pippa di fratello Alessandro ma ancora piu' per disadattati .. un trail sulla neve in alta quota. E' fatta ... amore a prima vista!
Continuo la mia ricerca aggiungendo la data del mio weekend disponibile, 8 Gennaio, e cosi' trovo un Trailblanc in 2 versioni: 20 km per super disadattati e 9 km per principianti in Nevache una localita' vicino a Serre Chevalier.  Nevache e' un piccolo paesino di montagna nella "Vallée de la Clarée" a soli 16 Km da Briancon al confine con l'Italia . Mi piace. Controllo quanti km mi separano dal punto x ... 243 ... osti ... non male! 
In questo periodo sono Papa' a tempo pieno e se non trovo il modo di coinvolgere la mia simpatica ex-moglie, la mia  missione trailblanc fallirà ancora prima di cominciare. Enzo deve essere accompagnato durante la mia impresa eroica. Sono un bastardo, lo so, ma il dito parte veloce sulla rubrica del mio iPhone e chiamo Cathy. Conosco i miei polli, gallina in questo caso, sono certo che mi basterà menzionare alcune parole chiave come Sci, Enzo, un paio d'ore con il maestro e  solo alla fine molto velocemente aggiungere la piccola opzione Trailblanc. Ci provo ... Bingo!

Tempo per prepararsi, montagna e correre: vanno d'accordo? Montagna mi fa pensare a freddo e neve, correre mi fa pensare a pantaloncini corti, maglietta e sudate. Non vedo il punto d'incontro ... 
Per il freddo non mi preoccupo, in fondo sto correndo tutti i giorni con temperature a volte molto al di sotto dello 0, credo di avere con me  l'abbigliamento adeguato ma se penso alla neve il discorso cambia. Neve al freddo vuol dire ghiaccio e  le mie scarpette Saucony sarebbero utili come un paio di pattini.  Scopro le scarpe da Trail ed allo stesso tempo noto sul regolamento della corsa che e' obbligatorio partire con l'acqua al seguito. Quindi ho bisogno di scarpe da trail e camelbak (zainetto con acqua). Alessandro mi invia un messaggio con suggerimenti per gli acquisti a Decathlon. 99 Euro per un paio di Salomon SpeedCross 4 ed una trentina per il Camelback e sono pronto per l'avventura.


Dopo un viaggio a temperature artiche,-11ºC, il mio primo impatto con il mondo del Trailblanc e' al ritiro pettorale. Avviene in una saletta stile Proloco locale. La differenza con il mondo della maratona e' evidente, il numero dei partecipanti e' molto limitato, meno di 300 .. ma tutti e 300 sembrano estremamente preparati e competenti. Mi guardo intorno, solo persone muscolose e slanciate, alcune veramente notevoli. Sono quasi in imbarazzo al momento del ritiro del mio package, ho paura che mi chiedano: Ma e' proprio sicuro? Me ne fotto e procedo, m'impadronisco del mio pettorale nr. 55.
Ci sono diversi banchetti ma solo uno e' affollatissimo, mi avvicino. Vendono degli strani  accrocchi da mettere sotto le scarpe, delle catene o meglio cramponi, e tutti dicono che per la gara saranno indispensabili a causa delle bassissime temperature e del ghiaccio diffuso.  Mi convincono e mi fottono altri 50 Euro ... pero' non c'e' la mia taglia esatta ed io ne prendo un paio leggermente piu piccole.
Giorno della Gara.

In hotel fraternizzo con altri partecipanti, 2 di loro sono particolarmente simpatici e si offrono di darmi un passaggio dall'hotel alla partenza. Scopro, tra le altre cose, che uno e' il padre di un nuotatore olimpionico Francese .. Clement Mignon. Partiamo tutti assieme e raggiunta la partenza mi propongono di fare una corsetta per riscaldarsi. Accetto, fa freddissimo .. iniziamo a zampettare sul percorso che sara' poi la nostra corsa. La partenza e' in salita, mi sembra subito durissima...  corriamo per 3 km ... ma non sara' un po troppo per riscaldamento?? Sono gia' stanco davanti alla partenza dove aspetto le fatidiche 9:30. 
Finalmente si parte, l'avventura comincia. Come da programma s'inizia a salire, sono tutti piu' agili e piu' veloci di me, ne vedo sfilare tanti tantissimi, quasi tutti. Corriamo il primo pezzo su una stradina asfaltata e ghiacciata ... ma dura pochissimo. Presto abbandoniamo asfalto e civilta' ed iniziamo ad arrampicarci su piccoli sentieri completamente innevati. All'inizio e' una salita dolce, poi il sentiero si restringe e la pendenza aumenta. Mi ritrovo in fila indiana e a camminare, la pendenza e' troppa e praticamente bisogna arrampicarsi. Faccio il mio meglio, annaspo e ansimo, ma il mio meglio non basta e ben presto mi ritrovo distaccato e solo. Da qui inizia la mia vera avventura, solo e inesperto in mezzo a sentieri di montagna. Alla prima occasione che posso ricorrere sento un rumore strano e la catena della mia scarpa destra si rompe. Ricordate che le avevo comprate un po piu' piccole.. no?!... Ora e' davvero merda, solo, inesperto e con un piede che scivola. Ho un solo obbiettivo .. arrivare alla fine! La prima meta' della corsa e' praticamente tutta salita, 10 km di sola salita piu' o meno pendente ... centinaia di volte mi rimbomba nella testa ... chi me lo ha fatto fare?!
Ma avanzo, lentamente ma avanzo. Giunto quasi in cima ad oltre 2000 metri ci si mette anche il vento a congelarmi il sudore sulla pelle, e' una situazione di totale sconforto, paura e voglia di ritirarsi che mi assale. Ma il mio piccolo e' all'arrivo che mi aspetta e non potrei mai ritirarmi e dare questo pessimo esempio. Continuo, soffro ma continuo.
Giunto in cima il Panorama e' meraviglioso ed a tratti vedo certi scorci che ripagano completamente la sofferenza. Inizio a scendere e mi ritorna il sorriso e ritorna anche il sole. Corricchio e godo .. mi sto finalmente divertendo .. e' tutto bellissimo. Poi la situazione si complica, la neve e' tanta e dove gli altri corridori leggerini volano io con i miei 90 kg sprofondo. A volte fino alle ginocchia ... e' di nuovo durissima. Continuo a scendere, scivolare, annaspare, sprofondare, cadere .. ma il traguardo piano piano si avvicina. A 3 km dalla fine c'e' pure un pezzo da fare tenendosi con una corda.. poi corsa .. sempre solo. Concludo vedendo il mio piccolo quasi sconsolato che si eccita vedendomi arrivare come 184º su 199. Non me ne frega niente ... mi sento vincitore comunque ed i ponti di Manhattan sembreranno discese a confronto. #runcerreziorun






mercoledì 28 dicembre 2016

La scoperta del trail

La lunga via per la maratona di New York prende percorsi inaspettati. Si va in salita e si va sullo sporco. In salita non perché diventi difficile ma perché si fa proprio del dislivello e si va sullo sporco perché finisce l'asfalto ed inizia lo sterrato, poi finisce lo sterrato ed inizia il sentiero e poi finisce anche il sentiero e si taglia per prati. E tutto questo è molto bello, ma proprio molto bello. Ma andiamo per gradi.
Tutto è iniziato un paio di settimane fa quando Luca Mares mi ha proposto di andare su per Col di Roanza. Ho accettato e questo è stato l'inizio. La strada per il Col di Roanza la conosco bene, abitavo lì sotto quel colle una volta e quella bella strada sterrata era una passeggiata abituale, la facevo anche in bicicletta. Ma Luca alla prima curva prende per un sentiero che si inerpica nel bosco. Si smette di correre, per forza, e si cammina, veloci, aiutati dai bastoncini da nordik walking. Fatica, tanta. Ci si arrampica, si cercano percorsi nascosti da foglie marce, si scivola, si cercano punti di appoggio per la punta del piede, si guarda in avanti ed in su e si prosegue. Nessun suono se non quello del bosco ad inizio inverno, dei nostri passi su ciò che trovano e delle chiacchiere con l'amico quando il passo e la pendenza lo permettono. E' una bella sensazione, anzi, direi che è amore a prima vista tra me e quello che gli esperti chiamano TRAIL.  La cosa si ripete la settimana sucessiva, questa volta saliamo alla chiesetta di S. Andrea sopra Polpet.


La compagnia si allarga, a me e Luca si aggiunge Elena e la salita diventa più dura anche se più corta, la discesa più tecnica, le sensazioni sempre belle. Una cosa che mi ha stupito è la sensazione nel correre sui prati, dove la pendenza lascia spazio ai saliscendi divertenti. E' una sensazione che conosco. E' quella delle corse campestri che facevo con la scuola quaranta anni prima. Divertimento puro, la fatica che sparisce ed una gioia che torna a galla, immutata,  da quegli anni.
Il giorno dopo non riesco nemmeno a fare le scale di casa per il dolore alle cosce. Si lo so che ci deve essere un altro termine per i muscoli anteriori della coscia ma se dico coscia capite lo stesso, giusto? Bruciano, anche solo a toccarle fanno male. Di sera sul divano, con le gambe stese sul tavolinetto, la passeggiata del gatto per venire a sdraiarsi sulla mia pancia diventa una tortura, un male incredibile. Per tirare giù le gambe dal tavolo faccio smorfie strane. Guardo con terrore le scale che devo fare per andare a letto, insomma il trail si fa sentire, scopro di aver usato parti di corpo che evidentemente nella corsa normale su strada non vengono usate. Bene, questo è sicuramente un bene però che male.
E' la vigilia di Natale ed io cammino come un vecchio di novanta anni. Chiedo aiuto a Roberta che è pur sempre infermiera, voglio sapere cosa prendere per non sentire male ma la risposta è "mal che si vuole non duole"...risolto il problema. Non mi resta quindi che trovare una via d'uscita dignitosa e la soluzione arriva dagli amici del gruppo Corrinsieme i quali propongono un trail per il 26 dicembre. Diciotto chilometri per mille metri di dislivello. Che faccio? partecipo? Ma si, vada come vada per cui il 26 mattina, sempre dolorante, metto la sveglia alle sei, faccio la mia solita colazione da 600 calorie con un piccolo incremento di carboidrati (Porridge più abbondante) e via all'appuntamento alle sette a Trichiana. Fuori è buio e la temperatura è sotto zero, in giro non c'è anima viva. A Trichiana siamo solo noi e dopo aver preso un caffè partiamo per Cison di Valmarino, sotto Passo San Boldo dove ci aspetta il Trail del Ricordo.
Io sono preoccupato, uscendo dal bar a Trichiana ho difficoltà a scendere due gradini, come farò a scendere su sentiero per mille metri proprio non lo so ma ormai ci sono, in qualche modo ne verrò fuori. A Cison siamo in tanti, c'è chi si riscalda, c'è chi fa esercizi per riscaldarsi, io guardo tutti come marziani e penso alle salite che mi aspettano. Il clima è però molto informale ed amichevole, malgrado quelli che si riscaldano come fosse una gara....ma è una gara in effetti, vabbè insomma malgrado questi vedo molta tranquillità e così mi tranquillizzo anche io. Partiamo, inizialmente stradine asfaltate ma poi subito un bel sentierino che porta all'inizio di una bella strada sterrata che si arrampica sulla montagna. Cammino, spingo sui bastoncini, cerco di tenere un passo costante, mi piace, mi sento bene e le gambe non fanno poi così male. In vari tratti incontro qualcuno del mio gruppo, ci aspettiamo, ci sorpassiamo, scambiamo due battute ma poi ciascuno fa la sua gara. Scopro che la salita non è affatto il peggiore dei problemi per le mie gambe doloranti. Ci sono le discese, ripide, molto ripide e le gambe mi fanno talmente male che in alcuni tratti le devo affrontare aiutandomi con i bastoncini usandoli come fossero stampelle oppure aggrappandomi ai rami degli alberi. Dove posso corro, dove posso, in discesa non molto a dire la verità. Tra le salite e le discese però ci sono dei tratti pianeggianti dove si riesce a correre ed è bellissimo perché ci si rigenera, si prende un bel ritmo, il fiato si fa regolare e si entra in quello stato nel quale pensi che potresti correre all'infinito.  poi un'altra sensazione nuova. Correre in questi tratti, con i bastoncini tenuti orizzontalmente in mano come fosse una lancia, mi fa pensare ad un africano che corre nella savana. Forse sto solo impazzendo, forse il male alle gambe mi sta mandando in pappa il cervello o forse è proprio un legame con il nostro dna, con l'uomo primitivo che ci portiamo dentro, qualcosa che riemerge da un passato lontanissimo nel quale anche noi come molti altri animali eravamo fatti per correre. Mi perdo in questi pensieri.  anche a godermi il paesaggio che è quanto mai vario. Abbiamo corso nel bosco, su prati, su di un sentierino con il burrone a sinistra, su trade sterrate e per brevissimi tratti su asfalto. L'ultima discesa arriva improvvisa. E' ripidissima, scende da Castelbrando al parcheggio dove c'è l'arrivo. Di solito la percorrono con le mountain bike tanto che ci sono delle reti di protezione. In qualche modo la faccio ed arrivo al traguardo che quasi mi spiace sia finita anche questa gara. Dispiaciuto per la fine della corsa ma non per il fatto di aver scoperto nuove sensazioni ed un modo nuovo di correre del quale mi ritenevo quasi incapace anche solo un mese fa. Guardavo le salite con diffidenza e paura. Mi ero convinto che non le avrei mai fatte e che quasi non fossi nemmeno in grado di farle ed invece, eccomi qui, a cercare il prossimo trail con i quale misurarmi. Non si smette mai di imparare, forse perché è già tutto dentro di noi, basta capire dove andare a scovarlo e tirarlo fuori.

martedì 6 dicembre 2016

Santificazione dell'accessorio

Correre non e' cosa da tutti, si sa! Fatica, infortuni, volontà e motivazione sono le parole chiave. E nonostante i miei sforzi nel cercare di vendermi come il Super-Eroe della determinazione,  spesso mi capita di proprio non riuscire a trovare la voglia per buttarmi giù dal letto alle 4:50 di mattina. Perché fa freddo, perché piove, perché ho già corso ieri ..e potrei elencare motivi per un altro paio di pagine.

Sto uscendo lentamente da un fastidioso infortunio alla coscia ed in totale balia della cattiveria che si abbatte sul mio corpo. La realtà del Runner che si e' fermato per un po. Ci vogliono mesi per fare piccoli miglioramenti o per preparare una corsa, ma bastano 3 settimane di inattività' per ritrovarsi al punto di partenza o quasi. Correre 5K faticando e' roba che fino al mese scorso non mi passava neanche per l'anticamera del cervello. Ed e' facile intuire che quando i risultati non sono dei migliori la motivazione e' introvabile.


Qui subentrano i trucchi del mestiere, quelli che funzionano per me. I miei trucchi. I trucchi del cheater.
Tutto si basa sul reindirizzare l'attenzione su qualche cosa d'altro, che non sia il percorso, la mancanza di fiato o la fatica. Gli accessori sono la mia salvezza. I gadget tecnologici e non fanno parte delle mie malattie senza cura. Che utili o inutili che siano. A volte e' il periodo dell'ultimo Garmin Forerunner e di quella funzione che non avevo ben capito e che voglio provare, oppure la nuova applicazione fitness installata sull'iPhone che di solito fa esattamente le stesse cose delle altre 15 che hai già provato ma se non altro ha dei bottoni e colori diversi. Poi ci sono i periodi delle nuove scarpette ..ed ultimamente la action Cam, la mia bella Garmin VIRB Elite. Video con dati GPS e sensori collegati.
Tutto cio' che non strozza ingrassa! Io devo correre e loro mi aiutano a farlo.
Siano lodati gli accessori! #runcerreziorun

La salita

E' la prima volta che mi confronto seriamente con la salita. Ho tracciato un bel percorso su per una stradina sterrata bellissima. 17 chilometri e 600 m di dislivello. Penso subito che è troppo ma ormai il percorso è tracciato e trasferito sul Garmin.
La giornata è bellissima. Cielo azzurro, nemmeno una nuvola, aria fresca. Parto verso ora di pranzo ed arrivo in macchina a Modolo. Parto con le mie scarpe nuove da trail. Mi sembrano dure, somigliano a dei scarpini da bicicletta ma fasciano bene il piede ed inizio subito a correre sulla pianta, lasciando perdere il tallone. Dicono che bisogna correre così, lo dice in particolare l'autore del libro che sto leggendo, "Running Revolution" di Nicholas Romanov, ve ne parlerò in seguito. Intanto da quando lo sto leggendo mi sto concentrando sulla tecnica. Si perché la corsa alla fine è come lo sci. Sappiamo tutti correre, lo facciamo da sempre, non come lo sci ma come questo c'è una tecnica ben precisa per farlo bene e questa va imparata. Serve applicarcisi, seriamente e non è per nulla facile, anzi. Concentrarsi sulla posizione del corpo, leggermente in avanti, sulla posizione della gamba mai lanciata in avanti e sull'appoggio del piede che deve avvenire sulla verticale del bacino, con passi brevi, veloci, non è facile. Bisogna imparare di nuovo a muoversi e bisogna saper anche ascoltare i rumori che uno produce. L'appoggio del piede produce un rumore diverso a seconda di come avviene. Se uno "atterra" con il tallone, poi "sbatte" la suola al suolo producendo uno "splat" forte; se uno invece poggia la pianta, l'avampiede, tutto diventa più silenzioso e morbido. Quel morbido preserva anche da infortuni. Insomma c'è una tecnica e siccome la sto imparando approfitto dei primi due chilometri in pianura per ascoltarmi e correggere gli errori. La salita inizia presto e con la salita, ancora su asfalto, iniziano anche i pensieri cattivi. Si materializza il BLERCH. Chi è il Blerch? Secondo Matthew Inman, che ne parla nel suo divertentissimo libro "Come capire se la corsa ti sta fulminando il cervello" il Blerch è "una misera e pigra bestiolina", graficamente è orribile. Una specie di palla di grasso che si materializza nei momenti difficili e cerca di convincervi che qualsiasi cosa è meglio di ciò che state facendo. Il divano, il bar con la sua bella cioccolata calda con panna, la televisione, i biscotti e la Nutella che non toccate più da quando avete iniziato a correre, secondo il Blerch non ha alcun senso quello che state facendo mentre sarebbe molto ma molto meglio lasciar subito perdere e regalarsi qualche gioia tra quelle appena elencate.


Bene, dopo il secondo chilometro, alla prima salita ecco il Blerch che mi suggerisce le solite vie di fuga, le medesime scuse di sempre o al massimo un compromesso, qualcosa del tipo "arriviamo fino lì e poi torniamo indietro, cinque chilometri dignitosi, accontentati". Ed invece non mi accontento, passo il primo paese, prendo fiato dove la strada spiana leggermente e questa volta mi trovo di fronte a quella che so essere la vera salita, quella lunga e sterrata. Il Blerch per ora è sparito. Intorno a me il bosco, traffico inesistente, l'unico rumore oltre quello del mio fiatone e dei miei passi, una motosega di una malga a bordo strada dove stanno tagliando legna. Continuo, la salita è costante, non molla un attimo, anche i tornanti dove mi aspetto almeno una brevissima pausa sono anche loro in salita.
Arrivo alla chiesetta, bella. Mi fermo un attimo per una foto e nella foto entra anche il Blerch, si legge nella mia espressione. Ovviamente mi suggerisce di accontentarmi della meta raggiunta ma non è convinto ed infatti non appena riprendo a correre svanisce con un'espressione molto delusa. Continuo in salita, sbuffando come una locomotiva, come la Fiat 132 di mio padre, a gas, nella salita che mi portava a Viterbo da militare. Dopo la chiesetta la strada si biforca, prendo a destra e salgo ancora. La pendenza aumenta ed allora decido di camminare e correre. Non cammino così a lungo da farmi passare la voglia di correre e non corro per così tanto da uscirne disfatto. Alterno i due passi e funziona, caspita se funziona.  Funziona talmente bene che senza accorgermene arrivo alla fine della salita. Sono al settimo chilometro, a metà strada, il più è fatto, il passo diventa veloce, la cadenza aumenta e la corsa si fa leggera, bella, divertente. Mi fermo un attimo per guardarmi intorno. Boschi nei quali si insinuano lame di luce che illuminano prati bellissimi. Nello spazio tra gli alberi si intravede il gruppo dello Schiara a nord e le montagne dell'Alpago ad est. E' bellissimo. Faccio qualche foto e riparto. Arrivo sulla statale e qui inizia la discesa, purtroppo tutta su strada, Non mi piace, non riesco a correre in discesa come vorrei, appoggio il tacco, sento l'impatto ad ogni passo, pur concentrandomi sull'appoggio c'è poco da fare per cui continuo guardandomi intorno non avendo il problema del poco fiato. Arrivo a Quantin e siamo al nono chilometro. Cerco la stradina sulla sinistra e ricomincio finalmente a correre su sterrato. Una leggera salita ma so che è corta ed ormai la tecnica provata nella salita precedente è collaudata. La faccio contento di farla bene, felice. Mi immergo di nuovo nel bosco. Ogni scorcio sarebbe da fotografare. Correre in discesa su sterrato è meno faticoso che non sull'asfalto e continuo quindi fino ad arrivare al bivio del terzo chilometro. Siamo invece al 14° km, me ne mancano solo tre che faccio con il sorriso per il bel percorso, per i paesaggi, ma soprattutto perché mi sono dato un obiettivo, ieri sera sul divano, ed oggi l'ho realizzato.